I Tratturi del Molise

La vita lungo i percorsi dei Tratturi

Elenco dei Prodotti Tipici

Una volta giunta la carovana negli alloggi provvisori, il casciaro (addetto ai formaggi) o nelle masserie il quaratino/coratino, ovvero colui che curava la stagionatura e la vendita, si prodigava a fare la quagliata (cottura del latte) della monta/mugnetòra (mungitura giornaliera) con il presàme (quaglio abbastanza secco); il latte veniva mescolato nel cuaccàve/cuttùru/quàchero, pentolone di rame con la catarina (bastone graduato), successivamente veniva scremato con la schiamatòra, paletta bucherellata per fare la ricotta o il burro nelle zingòle (botticelle in legno) e filtrato mediante ru culaturu (panno tessuto a mano) per fare le pezze/masciòtte (singole forme di formaggio), le quali prendevano la forma e la grandezza delle fruscèlle/fiscelle (contenitori di giunco) di volta in volta utilizzate, mentre la caniglia (siero di risulta) veniva data ai cani.
Uno dei prodotti di spicco della cucina molisana (Agnone, Capracotta e Vastogirardi) è senz’altro il caciocavallo, ufficialmente riconosciuto e inserito nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (P.A.T.) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf).
Il caciocavallo inizia la sua lavorazione scaldando il latte vaccino fino a 38-40° e aggiungendo il caglio.
Si procede con la rottura della cagliata e con l’aggiunta di siero, per poi passare alla fase più caratteristica dell’intero processo: la filatura della pasta, seguita dalla salatura e dalla posa delle forme in salamoia. La forma è simile ad una grossa pera, di altezza variabile da 18 a 22 cm, il peso varia da 1,5 a 3 kg. La crosta si presenta sottile e dura di color nocciola, la pasta è compatta con varie fessurazioni, l’odore è intenso ed il sapore è dolce e pastoso e via via che prosegue la maturazione, che va da un minimo di 3 mesi ad oltre un anno, diventa più piccante ed intenso.
Come per i prodotti caseari e derivati, anche la carne aveva delle regole stabilite nella commercializzazione. Quando non era scambiata con il sale e altri beni durante il viaggio, veniva trasformata in miscischia/miscisca/muscica (carne essiccata) sull’arciclòcco (palo con molti rami dove si appendeva un po’ di tutto); a volte si preferiva venderla a peso vivo alla “chianca” (macelleria) dei paesi attraversati. La qualità della carne e il prezzo variavano sensibilmente a seconda dell’età delle pecore, dei montoni, degli agnelli primaticci (concepiti alla fine dell’inverno) o cordeschi e vernerecci (concepiti in autunno durante le fatiche del viaggio).
Per la preparazione dei primi piatti a base di farina lavorata manualmente da generazioni, si tramanda la “mistura” che prevede il sapiente dosaggio di uova, acqua, farina e olio. Specialità più diffuse tra i primi piatti sono crejuoli (maccheroni alla chitarra), i ciufele (cubetti di pasta incavati con le dita), le taccozze, i cavatelli ed infine i fusilli che mischiati al sugo di agnello e, a volte a carne di vitello e maiale, danno vita al tipico piatto dei “fusilli alla Molisana”.
I fusilli sono uno dei 159 Prodotti Agroalimentari Tradizionali riconosciuti dalla regione: dell’elenco fanno parte anche specialità di mare come il baccalà, il cannolicchio, il polpo essiccato (pulepe sicche), la razza quattr’occhi (Ucchialine), la torpedine marezzata, le trigliette essiccate (trejezzole secche), la trota fario e la vongola comune.

Tra i prodotti tipici del Molise si annoverano:

  •  Il Formaggio e la Salsiccia di Pietracatella
  • Il Guanciale
  • La Scamorza molisana e la ricotta
  • La Signora di Conca Casale (insaccato di carne suina di grande pezzatura)
  • Il Caciocavallo di Agnone, Capracotta e Vastogirardi
  • Il Cacio in Asse (formaggio vaccino a pasta filata a forma di pera)
  • Il Capicollo
  • La Sopressata molisana
  • La Noglia
  • La Muscisca
  • La Ventricina di Montenero di Bisaccia (insaccato a base di carne suina tagliata a pezzi grossi a cui si aggiungono pezzi di grasso duro)
  • Il Saggicciotto (salame suino preparato con carni di prima scelta: coscia, lombo e capocollo)
  • Lo Sfarriccio (sanguinaccio di maiale unito a noci, uva passa, pinoli, scorze di arancia, cacao, farro cotto e grasso duro di maiale)
  • La Pampanella di San Martino in Pensilis (carne di maiale cotta al forno a base di peperoncino e aceto)
  • Il Pecorino di Capracotta
  • La Treccia di Santa Croce di Magliano
  • Il Burrino
  • La Stracciata
  • Il Pecorino del Matese
  • Il Pecorino del Sannio
  • Il Tartufo
  • Il Caprino di Montefalcone del Sannio
  • Il Farro

Una ricetta tipica che arriva proprio dall’antica tradizione della transumanza è la “Pezzata”; infatti, durante lo spostamento del bestiame, qualora capitava che una pecora si azzoppasse, diveniva inevitabilmente la cena dei pastori che la cucinavano con quel poco che la natura gli offriva. È così che nasce la “pezzata”, ovvero pecora bollita insieme ad erbe di montagna, fatta cuocere in una pentola di rame direttamente sul fuoco.
La “Pezzata” è una pietanza a base di carne di pecora, cotta a lungo in paioli pieni di acqua nel quale vengono aggiunte delle patate, qualche pomodoro e, talvolta, anche altre verdure ed aromi per arricchire di sapore e di profumo questo piatto nato come pasto “d’emergenza” e trasformatosi in una vera e propria prelibatezza. Il segreto del suo successo è il sapore delizioso della carne conferito dall’alimentazione a base di erbe dei pascoli montani che, pur essendo meno vasti di quelli in pianura, garantiscono un maggiore apporto di nutrienti.
Il pascolo in altura apporta benefici anche alla consistenza della carne che, grazie alle lunghe camminate che affrontano le pecore in montagna, risulta più soda.
La carne viene cotta in grandi paioli riempiti d’acqua. La prima operazione da compiere è la “schiumatura”, ovvero l’eliminazione del grasso in eccesso venuto a galla a seguito della cottura, dopodiché, oltre al sale, si aggiunge qualche patata (anche con la buccia) che continua ad assorbire il grasso rilasciato durante la lunga cottura (almeno 4 ore) e qualche pomodoro per dare colore al brodo senza renderlo, però, troppo rosso.
La Pezzata, inserita nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT), è un piatto identitario molto importante che si celebra nella “Sagra della Pezzata” di Capracotta (IS), un paese montano famoso proprio per l’allevamento delle pecore.
Durante questa sagra potrete gustare due piatti forti della tradizione: la pezzata appunto e l’agnello alla brace; è possibile assaggiare ogni parte di pecora, agnello e capretto a cominciare dalla testa. Le testine di agnello o capretto vengono cotte in forno, cosparse con una panatura aromatica, mentre per le interiora le ricette sono le più svariate.
Potrete assaggiarle in diversi piatti tipici come le mazzarelle, i torcinelli o gli abbuoti. Troverete inoltre nei menù le trippette di agnello al pomodoro, lo stufato di pecora giovane, ma anche la tipica pasta e lenticchie alla Montanara di Capracotta e il caciocavallo.
Ripercorrendo le caratteristiche della gastronomia molisana legata alla transumanza, un posto di rilievo lo occupano sicuramente i dolci, spesso a base di ricotta e miele o profumati di anice.
I più famosi sono i mostaccioli, delizie a base di mosto ricoperte di cioccolato che secondo la leggenda furono regalati ai contadini molisani da un misterioso monaco apparso all’improvviso e altrettanto velocemente scomparso per sempre.
Tipiche specialità molisane legate ai prodotti caseari sono i “casciatelli” o “fiadoni”, ossia mezze lune a panzerotto a base di paste soffritte e cosparse di miele o contenenti ricotta impastata, la “cicerchiata”, piccole palline fritte simili agli struffoli, il Milk Pan, una sorta di zuccotto ricoperto di cioccolato alla nocciola e ripieno di liquore milk, i biscotti all’anice, i “cauciuni” (dolci ripieni di pasta di ceci e miele), ostie farcite (cialde riempite con noci e mandorle), “peccellate” (dolci ripieni di mosto cotto o marmellate) e cippillati (ravioli al forno con ripieni di amarene), gli amaretti, le cappellate di Triviento, il Pannocchio Molisano, tipico soprattutto del periodo natalizio. A Pasqua sulle tavole molisane non può mancare “Ru Cucuruzze”, il pane dolce tipico di Agnone e profumato di anice, e la Pigna, la versione molisana del panettone.
In autunno, durante la vendemmia, si mangiano i panzerotti al mosto cotto mentre si trova facilmente tutto l’anno il croccante a base di mandorle.
Ad allietare le giornate di faticoso cammino e di lieta sosta non poteva mancare il “rosso” molisano: la “Tintilia”, vitigno autoctono molisano profondamente collegato alla storia e alla tradizione della civiltà contadina pastorale.
Introdotto molto probabilmente nella seconda metà del Settecento dai Borboni, il suo nome deriva dall’iberico “tinto”, ossia rosso; è infatti un vino dal colore rosso scuro.
Il vitigno, che alla fine dell’800 era senza dubbio la varietà maggiormente coltivata in tutta la regione, è stato poi abbandonato in favore di varietà più produttive, ma la sua recente riscoperta è diventata espressione autentica dell’enologia molisana.

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Tradizioni

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